Era andato con la moglie Anita a Lecco ad inaugurare la locale Camera del Lavoro e un infarto improvviso, il 3 novembre del 1957, colse Giuseppe Di Vittorio durante il comizio. Dal 1945 era segretario della CGIL, si potrebbe dire un altro morto sul lavoro come ce ne sono purtroppo ancora tanti. La biografia personale di Di Vittorio è straordinaria: è il bracciante povero e autodidatta che guiderà il sindacato più importante d’Italia. La nostra generazione non ha avuto la possibilità di conoscerlo in vita ma a noi sono giunti gli echi del suo spessore politico e umano. Una forte capacità di immedesimarsi con il popolo che rappresentava e una sintonia che veniva ricambiata. Impressionante e indimenticabile fu a quel tempo il viaggio in treno che da Lecco ricondusse la sua salma a Roma, ad ogni stazione incontrò migliaia di persone che confluivano per dare l’estremo saluto al loro dirigente.
Giuseppe Di Vittorio è stato un grandissimo sindacalista, innovativo nelle idee ma coerente e profondo, capace di precedere gli avvenimenti interpretando i cambiamenti.
Dopo la sua morte molto si è scritto su di lui sulle sue origini contadine sul suo amore per lo studio e la conoscenza. La Rai nel 2009 ha trasmesso la fiction “Pane e Libertà” che racconta la sua vita con la regia di Alberto Negrin, mentre la figura del sindacalista è stata interpretata da Pierfrancesco Favino. Il titolo della fiction è un’ottima sintesi di quello che è stata la sua azione. Mi piace ricordare uno dei tanti aneddoti che ricordano lo spessore culturale del sindacalista.
Di Vittorio insegnò ai braccianti di Puglia, e del mondo, a non togliersi più il cappello, e cioè a non subire più la sudditanza psicologica del padronato. Sudditanza che purtroppo oggi pare essere ancora più presente a fronte di un divario tra ricchi e poveri che continua ad allargarsi. Sudditanza che ci fa credere in parole malate contrarie agli interessi del mondo del lavoro. Non togliersi il cappello quindi nel senso di avere un punto di vista autonomo, avere il coraggio di manifestarlo.
Tra le sue tante frasi celebri arrivate fino a noi ne voglio proporre una di impressionante attualità, si domandava Di Vittorio negli anni ’50:
“È giusto che in Italia, mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? È giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie, delle loro creature? È giusto questo? Di questo dobbiamo parlare, perché questo è il compito del sindacato.”
Credo che in un periodo come il nostro dove si è poveri anche se si lavora e si ha una pensione povera dopo aver lavorato una vita questa frase vada gridata ancora con forza, Senza toglierci il cappello e con l’orgoglio di sapere di avere avuto questi dirigenti e di stare dalla parte giusta della storia.